domenica 26 giugno 2016

Un "Passo falso" può significare sicura morte nel thriller in solitaria, opera prima di Yannick Saillet con Pascal Elbè

Yannick Saillet firma il suo primo lungometraggio, “Passo falso” (Piegè), coproduzione tra Francia e Italia, ma ha alle spalle oltre trent’anni di gavetta: a diciassette anni ha venduto in segreto l’automobile dei genitori per produrre il suo cortometraggio d’esordio “Il mio primo atto” con Richard Bohringer. Dopo ha proseguito lavorando nei set di Serge Gainsbourg, Margarethe Von Trotta,
Olivier Assayas e persino del celebre serial “Dallas, infine come regista di videoclip musicali (dal 1993 al 2007) e spot. La sua opera prima si regge soprattutto sulla tensione come quel piede finito su una mina antiuomo di vecchia generazione, dalla quale il protagonista non si può staccare pena la morte. Sullo sfondo la guerra in Afghanistan e le contraddizioni della partecipazione dei paesi occidentali.
Unico superstite di un attacco lampo, il sergente francese Denis (un sorprendente Pascal Elbè che si esprime soltanto con la faccia e lo sguardo), unico sopravvissuto della sua pattuglia, resta bloccato in un deserto con il piede incastrato su una mina, appunto. Dubbi e paure lo attanagliano
mentre il nemico si avvicina, ha solo un paio d’ore per riuscire a salvarsi. Alla fine, riesce a rintracciare i suoi colleghi al commando, però non è sicuro che qualcuno venga a salvarlo. Il suo è un estenuante conto alla rovescia che non può fermare. Ma forse in quel deserto, Denis, non è così solo come sembra.
Infatti, c’è un camion pieno di droga e un misterioso ostaggio che sembra ancora in vita e, ad un certo punto, arriva un gruppo di donne in burka e un bambino che resterà per un po’ di tempo. Però ci sono altre sorprese che non sarebbe giusto rivelare allo spettatore.
Un teso dramma in tempo reale (durata 76’) per un thriller in esterno giorno, sorta di action movie in solitaria, in cui il regista riesce a mettere in mostra la sua professionalità con un abile montaggio (di Eric Jacquemin) e un ritmo azzeccato. Quindi, il film non è noioso, anzi, gioca sulla suspense e conta sui colpi di scena, infatti la guerra resta un pretesto per giustificare la vicenda.
Però il ‘gioco’ funziona, magari non all’altezza dell’indimenticabile “Dieci secondi col diavolo” di Robert Aldrich (1959). Su una vicenda simile, realmente accaduta, è invece il contemporaneo “Land of Mine - Sotto la sabbia” di Martin Zandvliet, ma lì erano ragazzi costretti a disinnescare le mine inesplose, come la squadra del film di Aldrich. Andando indietro nel tempo, bisogna anche ricordare “No Man’s Land - Terra di nessuno” di Danis Tanovic (2001), però si tratta di una vicenda
corale, ambientata durante la guerra serbo-bosniaca. Riconoscerete il protagonista soprattutto per “Il figlio dell’altra” di Lorraine Lévy e “Ciliegine”, debutto nella regia di Laura Morante. In ruoli camei: Laurent Lucas (Murat), Caroline Bal (Caroline), Arnaud Henriet (Pastres), Othmane Younouss (Afzal), Jeremie Galan (Junior), Raii Ben Jhaile Tadlaoui (il talebano) e Patrick Gimenez (capitano Henoque). José de Arcangelo
(2 ½ stelle su 5) Nelle sale italiane dal 23 giugno distribuito da Istituto Luce - Cinecittà

Nessun commento: