giovedì 4 agosto 2016

Da un suo popolarissimo corto horror, lo svedese David F. Sandberg ne ha tratto un inquietante e coinvolgente lungometraggio omonimo "Lights Out - Terrore nel buio", prodotto da James Wan

Da un corto pluripremiato e reduce di due milioni di visualizzazioni su youtube, approda il lungometraggio omonimo, opera prima dello svedese David F. Sandberg (dopo tanta gavetta e tantissimi corti horror e non) “Lights Out - Terrore nel buio”. Non era facile trasporre in un film
della durata standard un’efficace e originale idea ispirata ad una delle paure ancestrale dell’uomo, il buio, quello in cui si nascondono ombre e segreti, incubi e terrore. Prodotto dall’appassionato e infaticabile regista James Wan (da “Saw” a “Insidious” e “The Conjuring”) che non si è fato sfuggire lo short horror (intelligentemente citato nella scena
iniziale con la stessa attrice, moglie e produttrice di Sandberg, Lotta Losten in un cameo) e ha affiancato all’autore, lo sceneggiatore Eric Heisserer (“Final Destination 5”, anche produttore), e insieme sono riusciti a costruire una storia credibile e coinvolgente in bilico fra psicologia e paranormale. E Sandberg è stato bravo a mantenere la tensione per oltre ottanta minuti, senza cadere nel convenzionale pur rispettando stereotipi e luoghi comuni del genere, ma sfruttandoli al meglio e prosciugando la vicenda, evitando tempi morti e particolari inutili.
La giovane Rebecca (l’australiana in ascesa Teresa Palmer, da “Warm Bodies” a “Point Break”), lasciando la casa materna, pensa di essersi liberata dalle paure che l’hanno tormentata fino all’adolescenza, ma non era mai stata veramente di cosa fosse reale e cosa non lo fosse quando si spengono le luci. Ma ora il fratellino Martin (il figlio d'arte Gabriel Bateman, fratello di Justin, da "American Gothic" a "Outcast" in tivù) sta vivendo gli stessi eventi tanto inspiegabili quanto terrificanti che in passato hanno messo a rischio la sua salute mentale e minacciato la sua sicurezza.
La spaventosa entità, che ha un misterioso legame con la madre, Sophie (l’intensa e spesso sprecata Maria Bello, da “Le ragazze del Coyote Ugly” a “A History of Violence”), è nuovamente riemersa per tormentare il bambino che non riesce più a dormire, soprattutto dopo la scomparsa del padre. Rebecca si fa coraggio e torna a casa per scoprire la verità e così salvare Martin, la madre e se stessa, anche se le loro vite sono davvero in pericolo… quando si spengono le luci. E se il ‘gioco’ risulta inquietante e funziona ancora è anche grazie ai bravi collaboratori che attorniano Sandberg, dal direttore della fotografia Marc Spicer (“Furious 7”) ai montatori Kirk
Morri (“The Conjuring”) e Michel Aller (“Paranormal Activity: The Ghost Dimension”); dalla scenografa Jennifer Spence (“Insidious”) alla costumista Kristin M. Burke (“The Conjuring”) e alle musiche di Benjamin Wallfisch (“Bhopal: A Prayer for Rain”), mai ingombranti. Ora attendiamo la seconda opera hollywoodiana di Sandberg, ovvero il sequel di “Annabelle”. In bocca al lupo… mannaro. José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 4 agosto distribuito da Warner Bros. Pictures

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