giovedì 25 agosto 2016

Orribili segreti e spaventose bugie nel cuore di una famiglia argentina apparentemente 'normale' degli anni Ottanta nel premiato "Il Clan" di Pablo Trapero con Guillermo Francella

Orribili segreti e spaventose bugie nel cuore di una famiglia apparentemente come le altre, di quella classe media (piccola borghesia) di cui la dittatura argentina fece strage, “El clan”, sceneggiato e diretto da Pablo Trapero, vincitore del Leone d’Argento per la miglior regia alla 72.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, racconta la storia vera della famiglia Puccio (soggetto di Julian Loyola ed Esteban Student) che sconvolse un’intera nazione.
Tanto che, dopo il film, nacque subito una serie televisiva, anch’essa di grande successo, “Storia di un clan” con Alejandro Awada e Cecilia Roth (“Tutto su mia madre”) perché la pellicola aveva sconvolto una seconda volta il pubblico che non aveva vissuto quei bui primi anni Ottanta o era allora appena nato. Un dramma thriller familiare che, ovviamente, si discosta dalle simili storie mafiose di vecchia e nuova data, che sconvolge lo spettatore soprattutto per la freddezza, l’indifferenza, l’egoismo (atroce), e in certi casi, l’ingenuità dei suoi protagonisti.
San Isidro (località residenziale del ‘Gran Buenos Aires’), primi anni ’80: Arquimedes (inimitabile Guillermo Francella, già popolarissimo in teatro, tivù e cinema per ruoli comici), il patriarca, è a capo delle operazioni dei sequestri di persona, con cui si ‘guadagna da vivere’; il figlio più grande, Alejandro (Peter Lanzani, dal teatro e il piccolo schermo), è una star del rugby che gioca nel mitico team “Los Pumas”. A lui tocca adescare le vittime dei rapimenti tra i giovani rampolli dell’alta società, meglio se oppositori politici.
I crimini del clan dei Puccio, famiglia che gode della protezione della dittatura militare, riescono a passare inosservati nella loro costante ferocia programmatica (il ‘metodo’ è quello usato dai poliziotti in borghese del regime per rapire i futuri ‘desaparecidos’), ma prima o poi finiscono per coinvolgere tutti in una crescente spirale di violenza, dove è colpevole anche chi assiste in silenzio e/o non vuol ‘vedere’. L’altro figlio, Daniel ‘Maguila’ (Gastòn Cocchiarale), emigrato in Nuova Zelanda e costretto a ritornare a casa, rientrerà nei ‘ranghi del regime’ di famiglia.
Infatti, sarà Alejandro – l’unico ad essere tormentato dai sensi di colpa – a cercar di porre fine alla sequela di violenza, soprattutto quando l’intero Paese approda alla delicatissima fase di transizione dalla feroce dittatura militare alla fragile democrazia. E la storia della sua famiglia diventa specchio e metafora dell’Argentina, impegnata nella ricerca di giustizia e tentando di non dimenticare il terribile passato prossimo.
Trapero, raccontando con sobrietà disarmante la storia di questa gelida e indifferente del ‘clan’, invita a riflettere sull’animo umano, il suo diventa un doloroso avvertimento non solo per l’Argentina, uscita dalla dittatura solo trent’anni fa, ma per tutti, perché ci mostra delle cose atroci che le persone ‘normali’, gli esseri umani, appunto, sono capaci di fare. Nel cast Lili Popovich (Epifania Puccio, la moglie), e gli altri figli Giselle Motta (Silvia Puccio), Franco Masini (Guillermo Puccio) e Antonia Bengoechea (Adriana Puccio); Stefania Koessl (Monica), Fernado Mirò (Anibal Gordon), Juan Cruz Marquez de la Serna (Gonzalo Oveja).
Un buon uso della musica contrapposta alle azioni criminali (musiche di Vicente D’Elia e colonna sonora originale di Sebastian Escofet). La fotografia è firmata da Julian Apezteguia, il montaggio dallo stesso Trapero con Alejandro Carrillo Penovi. L’ambientazione anni Ottanta è merito dello scenografo Sebastian Orgambide e del costumista Julio Suarez. Una coproduzione argentino-spagnola tra Matanza Cine e El Deseo di Agustin e Pedro Almodovar, con il contribuito dell’Instituto Nacional de Cine y Artes Audiovisuales (INCAA), Argentina, e Instituto de la Cinematografia e de las Artes Audiovisuales (ICAA), Spagna.
L’autore, che ha sempre partecipato ai più importanti festival internazionali - “Mundo Grua” (1999, Premio della critica a Venezia), “El bonaerense” (2002, premiato a Cannes), “Familia rodante” (2004, a Venezia), “Nacido y criado” (2006, a Toronto), “Leonera” (2008, Cannes), “Carancho” (2010) ed “Elefante blanco” (2012), entrambi ad Un Certain Regard di Cannes, di cui è presidente nel 2014 – è stato nominato Cavaliere delle Arti e delle Lettere dal ministro della cultura francese nel 2015, primo regista argentino a ricevere tale onorificenza. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 25 agosto presentato da O1 Distribution

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