venerdì 23 settembre 2016

Reduce della 73.a Mostra di Venezia e vincitore della Coppa Volpi per la miglior attrice approda nelle sale "Frantz" di François Ozon

Presentato in concorso alla 73.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e reduce della Coppa Volpi alla miglior attrice, per la splendida rivelazione Paula Beer, arriva nelle sale l’ultima opera del francese François Ozon, un dramma d’amore
e morte, anzi sulla menzogna tra pietà e perdono, sensi di colpa e riconciliazione, dolore e gioia, tra romanzo di formazione ed educazione sentimentale. “In un’epoca ossessionata dalla verità e dalla trasparenza – dice Ozon -, desideravo da tempo fare un film sulla menzogna. Come
allievo e ammiratore di Eric Rohmer, ho sempre trovato le bugie molto eccitanti da raccontare e da filmare. Riflettevo proprio su questo quando un amico mi ha parlato di uno spettacolo teatrale di Maurice Rostand, scritto subito dopo la Prima guerra mondiale. Facendo delle ricerche, ho poi scoperto che era già stato adattato per il cinema di Lubitsch nel 1931 con il titolo ‘Broken Lullaby’. La mia prima reazione è stata quella di lasciare perdere. Come potevo competere con Lubitsch?”!
Ma poi, scoprendo che il grande maestro aveva fedelmente adattato l’opera teatrale e dava soprattutto il punto di vista del protagonista, Ozon decide di affrontare la sfida dal punto di vista della ragazza, e cambiando alcuni particolari della tragica vicenda, con la collaborazione di Philippe Piazzo. E l’omaggio a Lubitsch e al suo unico (e sfortunato) dramma cinematografico è un bianco e nero contrastato e abbagliante che però sfuma dai colori pastello fino a quelli più vivaci quando si passa ai racconti gioiosi (flashback a Parigi) o al superamento del lutto.
Dopo la fine della Grande Guerra, in una cittadina tedesca, Quedlinburg (riprese nella ex DDR) la giovane Anna (Beer) si reca tutti i giorni sulla tomba del fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno scopre Adrien (Pierre Niney), anche lui recatosi sulla tomba dell’amico tedesco. La presenza dello straniero nella cittadina tedesca susciterà reazioni sociali molto forti e sentimenti estremi, ma pian piano, con l’aiuto di Anna, Adrien riuscirà a farsi accettare dalla famiglia del defunto…
L’autore però nella prima parte lavora sull’apparenza e sul sospetto e nella seconda sul dubbio dei sentimenti e delle relazioni evitando le trappole del melodramma per sposare il thriller dell’anima, rievocando attraverso la musica (di Philippe Rombi sui temi di Bernard Herrmann) sia Hitchcock che Truffaut (soprattutto ne “La sposa in nero”). E tutta la vicenda gira e si evolve attraverso la menzogna perché ‘il segreto di Frantz’ lo scopriremo più tardi, così come il finale da non rivelare assolutamente a chi non li conosce ancora. Coinvolgente e affascinante, anzi per certi versi sublime, “Frantz” conquista completamente attraverso immagini ed emozioni e, probabilmente, meritava di più oltre la Coppa Volpi, meritatissima, ma si sa nei Festival non si riesce mai a premiare tutti quelli che lo meritano, anzi, spesso li ‘accontentano’.
Nel cast del film, girato interamente in tedesco, anche Ernst Stoetzner (Hoffmeister), Marie Gruber (Magda), Johann Von Bulow (Freutz), Cyrielle Clair (madre di Adrien), Alice De Lencquesaing (Fanny) e Anton Von Lucke (Frantz). José de Arcangelo (4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 22 settembre distribuito da Academy Two
CURIOSITA’ Il titolo del film “è venuto naturalmente – dichiara Ozon -, come una eco, che suona come ‘France’. In tedesco, il nome si scrive senza ‘t’, è un errore molto francese mettercela, e questo divertiva e affascinava i tedeschi, cosa che mi ha incoraggiato a non correggerla. Mi sono inventato che era il personaggio di Frantz ad avere aggiunto questa ‘t’, perché era un grande francofilo”. Oltre alla poesia “Canzone d’autunno” di Paul Verlaine, nel film compare il dipinto “Il suicida” di Edouard Manet. “Era importante per me finire il film con questo dipinto. Anche l’arte è una menzogna, un mezzo per sopportare la sofferenza. Ma è una menzogna più nobile, virtuale, che ci può aiutare a vivere. Nello spettacolo teatrale di Rostand, si parla di un dipinto di Courbet, con un ragazzo che ha la testa buttata indietro. Ho cercato nei dipinti di Courbet, ma ho trovato opere troppo romantiche, non abbastanza violente. Facendo altre ricerche su rappresentazioni di morti, mi sono imbattuto in questo dipinto sconosciuto di Manet, “Il suicida”, incredibilmente moderno. Dopo averlo fatto vedere in bianco e nero, lo volevo mostrare con tutti i suoi colori, in particolar modo il rosso del sangue che macchia la camicia bianca del suicida. Tutto ad un tratto, prende forza e potenza e permette di mettere a fuoro tutto il dramma, di ripensare a Frantz e ad Adrien. Di ricordare tutto quel periodo del dopoguerra con due milioni di morti in Francia e tre milioni in Germania, i cui sopravvissuti sono tornati mutilati, traumatizzati, potenziali suicidi”.

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