mercoledì 28 settembre 2016

Un godibile mix di avventura e documentario sulle aquile reali in "Abel, il figlio del vento" di Gerardo Olivares e Otmar Penker

In uscita nei cinema italiani un tradizionale e godibile lungometraggio in bilico tra avventura tradizionale e ottimo documentario sulla natura, ed eccezionalmente sulla vita delle aquile reali, in “Abel, il figlio del vento” diretto da Gerardo Olivares insieme allo specialista Otmar Penker e sceneggiato da Joanne Reay (“Everybody Loves Sunshine”).
L’idea di partenza è dello stesso Penker (“Prince of the Alps”), maestro nel delle riprese della fotografia in ambienti naturali, soprattutto alpini, e del collega Gerald Salmina (“Mount St. Elias”) che hanno deciso di combinare la loro esperienza nel campo del documentario e un soggetto destinato ad un vero e proprio film. L’obiettivo principale era girare un’avventura tra le Alpi Europee che avesse come protagonisti un’aquila e l’uomo, ovvero un ragazzo.
“Nei numerosi anni di carriera come regista specializzato in riprese nella natura – dice Penker - mi è spesso capitato di lavorare con le aquile, ma mai come protagoniste, anche perché le riprese che prevedono la presenza di aquile necessitano di molto tempo e di onerose risorse finanziarie. Visto che non ci sono molti film ben girati che prevedono la presenza di aquile reali, ci è venuto spontaneo pensare a questo rapace come protagonista della nostra emozionante avventura”. Dopo hanno coinvolto nel progetto il produttore austriaco Walter Koehler, esperto nella produzione di documentari sulla natura, che si è rivolto al regista spagnolo Olivares reduce di un’esperienza
simile e di grande successo in Spagna, “Among Wolves”, che ha richiamato il ragazzino Manuel Camacho, protagonista del suo film precedente. Regista e produttore hanno poi pensato a Jean Reno (da “Leon” a “Un’estate in Provenza” passando per “I visitatori”), attore di respiro internazionale ma allo stesso tempo credibile nell’ambiente europeo alpino, e infine a Tobias Moretti (le prime serie de “Il commissario Rex”) per il ruolo di Keller, il freddo e severo padre del ragazzino, a quel punto il gioco era fatto.
Quello che è importante è che la pellicola ci offre una vasta serie di informazioni sulla vita e le abitufini delle aquile, infatti, l’aquilotto più forte è destinato a scacciare dal nido il fratello più debole (fenomeno chiamato ‘cainismo’): questo è solitamente ciò che accade quando due piccoli di aquila si trovano a condividere lo stesso nido, fatto che spesso succede anche tra gli uomini
che, a ferirli o peggio, siano proprio le persone più vicine. Il piccolo Lukas (Camacho) soffre a causa della freddezza che il padre (Moretti) dimostra nei suoi confronti dopo la dolorosa perdita della moglie, morta nel tentativo di salvare il piccolo Lukas da un incendio. Il ragazzino porta sulle sue giovani spalle il peso della morte della madre ed è chiuso in una sorta di mutismo.
L’aquilotto, invece, viene scacciato dal nido in cui è nato dal primogenito ed è condannato a morte certa una volta caduto nella foresta. Ma per fortuna viene trovato da Lukas che lo chiama Abel prendendo spunto dalla Bibbia, l’episodio di Caino e Abele. Deciso a prendersene cura in segreto, Lukas offre al pennuto tutto l’amore, la protezione e la compagnia che gli sono invece stati negati dai suoi simili. E, con i consigli e l’esperienza del vecchio guardiacaccia Danzer (Reno) - che è anche il narratore della vicenda -, ce la farà egregiamente. Ma sarà pronto, una volta arrivato il
momento di restituire Abel alla natura selvaggia, a cominciare una nuova vita? La risposta nell’ultima parte del film che non vi sveliamo per non rovinarvi la sorpresa. Una favola contemporanea che unisce ecologia e speranza, avventura e sentimenti, magari in maniera tradizionale (ricorda i classici Disney anni ’60-’70 con veri animali e bambini protagonisti), ma con straordinarie riprese della natura e soprattutto delle aquile, dalla nascita alla liberazione nel regale volo. Infatti, sono stati dei velivoli leggeri che accompagnano i maestosi rapaci.
Il direttore della fotografia delle riprese fiction Oscar Duran, il montaggio è firmato da Karin Hartusch, la scenegorafia da Thomas Vogel, i costumi da Brigitta Fink e le musiche da Sarah Class. José de Arcangelo (2 ½ su 3) Nelle sale italiane dal 29 settembre distribuito da Adler Entertainment LA REALIZZAZIONE
Per girare un film con queste particolari caratteristiche è stato necessario instaurare un approccio inusuale alla produzione. Solitamente il primo passo nella creazione di un film è la stesura della sceneggiatura, ma in questo caso è stato necessario partire dagli aspetti che riguardavano le riprese nella natura, soprattutto per via della grande quantità di tempo necessaria a Penker alla realizzazione delle riprese della vita selvaggia degli animali nel loro habitat. Le scene nella natura sono state girate quando la sceneggiatura era ancora in una prima fase di stesura. Nel 2011, Penker assieme a una piccola troupe ha iniziato a girare nel più grande parco nazionale dell’Austria ¬ Parco Nazionale Alti Tauri – le scene riguardanti la storia dell’aquila.
Per mantenere intatta l’autenticità dello scenario naturale, sono state sviluppate nuove tecniche di ripresa, con la collaborazione di Franz Schuttelkopf, Paul Klima, Michael Holzfeind e altri falconieri provenienti dall’associazione di falconeria Adlerarena Landskron. Sono state realizzate delle riprese aeree attraverso il volo in tandem di aquile e veicoli aerei ultraleggeri e usati cannoni sparaneve per simulare una valanga. Le riprese più complesse riguardano le prime fasi di vita delle aquile. Per evitare il più possibile di disturbare i rapaci e di essere invadenti, è stato deciso di trasferire per un anno un esemplare femmina di aquila e i suoi piccoli, provenienti dalla falconeria, all’interno di una voliera rimodellata appositamente per ospitare le riprese e in cui potevano essere ripresi da una telecamera fissa.

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