sabato 12 novembre 2016

Un orribile episodio accaduto in Polonia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di cui sono state vittime suore e neonati, in "Agnus Dei" di Anne Fontaine, a Roma per presentarlo

Un film tratto da fatti realmente accaduti, un episodio orribile della Seconda Guerra Mondiale, anzi della fine, volutamente dimenticato, nascosto, di cui sono state vittime donne e bambini. E’
il nuovo lavoro della regista francese Anne Fontaine – a Roma per presentarlo alla stampa - “Agnus Dei” (Les innocentes). Polonia, 1945: Mathilde (la Lou de Laage di “L’attesa”), giovane medico francese della Croce Rossa, è in missione per assistere i connazionali sopravvissuti. Una suora polacca arriva
nell’improvvisato ospedale in cerca di aiuto, però il dottore indaffarato con i feriti, la manda via. Impietosita e incuriosita, vedendola pregare inginocchiata sulla neve, Mathilde accetta di aiutarla e la riporta - col camioncino dell’ambulatorio - in convento, dove alcune sorelle incinte, vittime della barbarie dei soldati sovietici, vengono tenute nascoste perché probabilmente saranno loro a essere punite e/o espulse. Nell’incapacità di conciliare fede e gravidanza le suore si affidano a Mathilde, unica speranza, a patto che mantenga il loro terribile segreto.
Un dramma sconvolgente, sobrio ed equilibrato, nonostante il tragico argomento trattato, perché l’autrice lo racconta con lucidità e delicatezza, fra suspense e tensione, emozioni e riflessione. Un film che, nell’ambiente e nelle atmosfere, ci ha ricordato “Madre Giovanna degli Angeli” di Jerzy Kawalerowicz (1961), non a caso maestro del cinema polacco. “La storia di queste suore è incredibile – esordisce l’autrice -, quando l’ho scoperta sono rimasta sconvolta. Secondo le note del diario di Madeleine Pauliac (sullo schermo Mathilde ndr.), il medico
della Croce Rossa che ha ispirato il film, 25 di loro furono violentata nel loro convento – alcune fino a 40 volte di seguito –, 20 furono uccise e 5 rimasero incinte. In Polonia il fatto è stato completamente dimenticato, sepolto. Questo evento storico getta una luce oscura sui soldati sovietici, ma è la realtà: una verità che le autorità si rifiutano di divulgare, nonostante numerosi storici ne siano a conoscenza. I soldati non ritenevano di commettere un atto ignobile, erano autorizzati dai loro superiori, come premio per i loro sforzi. Atti brutali come questo,
sfortunatamente, sono ancora largamente praticati ai giorni nostri. Le donne continuano a essere oggetto di simili fatti disumani nei paesi in guerra di tutto il mondo”. Non solo, la stessa Chiesa non affronta il gravissimo problema delle suore violentate e uccise, e sono soprattutto loro a restare in missione nei paesi coinvolti da guerre. “Non posso dire quale sia stata la reazione della Chiesa polacca allora – afferma Fontaine -. Il film in Vaticano l’hanno visto religiosi, vescovi e suore. Monsignor Carballo (José Rodriguez
Carballo che aveva dichiarato, nel maggio scorso, “le religiose sono avanguardia della Chiesa nelle periferie del mondo” ndr.) mi ha detto che è un film terapeutico per la fede”. “E’ una storia veramente accaduta ma ho dovuto aggiungere qualcosa – prosegue -, perché il diario della dottoressa riportava anche dati scientifici, oltre quello che le avevano riferito alcune delle suore violentate. Io provengo da una famiglia cattolica, sono stata particolarmente colpita perché ho due zie suore, mio padre ha fatto l’organista in chiesa per anni, forse perciò ho avuto
una reazione così forte per un fatto sempre attuale, senza tempo. Riesco a lavorare su un tema solo se lo conosco perfettamente, così ho fatto delle ricerche approfondite. E poi volevo capire com’è realmente la vita in un convento, dal suo interno. Per me era importante comprendere la routine quotidiana delle suore, e conoscere il ritmo delle loro giornate. Sono andata in visita in due comunità Benedettine, lo stesso ordine religioso del film. Sono entrata solo come osservatrice la prima volta, la seconda ho fatto esperienza in ritiro”.
“Volevo capire la vita quotidiana delle suore – prosegue Fontaine -, riflettere sulla fragilità della fede e sul mistero di un mondo a noi sconosciuto, la drammaturgia dell’esistenza in convento, perché noi crediamo che le regole siano uguali per tutte, invece ci sono individualità, diversità e comportamenti eterogenei. La fragilità della fede stessa, appunto, mi ha permesso di dirigere in un modo diverso, anche le attrici che interpretano una vicenda così drammatica. Un film è come un
millefoglie, ha tantissimi strati, bisogna trovare un delicato equilibrio per non rischiare di schiacciarlo”. “La soluzione non viene solo dall’esterno (nel finale del film ndr.) – spiega -, probabilmente è una decisione presa da entrambe (da Mathilde e Suor Maria ndr.), anche dalla mia esperienza personale, da bambini nati da donne violentate. L’idea è venuta da sé, spontaneamente, dal chiedermi dove sono questi bambini oggi adulti?”.
Sulle attrici dichiara: “Lou la conoscevo ma l’avevo vista sempre in ruoli da ragazzina, è giovane ma ha la determinazione giusta per interpretare il personaggio. Agata Buzek, che interpreta suor Maria, proviene da una scuola di recitazione eccellente, è magnifica, attiva soprattutto a teatro. Ha imparato il francese alla perfezione, ha un viso incredibile, profondo, meraviglioso; è l’equivalente polacca di Cate Blanchet. Agata Kulesza nel ruolo della madre superiora, è la zia
suicida, sexy, buffa e divertente di ‘Ida’ e non pensavo fosse adatta, ma appena messo il velo, si è trasformata”. “La violenza in guerra viene banalizzata – conclude la regista -, è assurdo che la violenza sulle donne venga usata da tutti come arma di guerra, inaccettabile. Bisogna frenare questa assurdità. In questo caso si tratta di uno stupro doppio, contro la donna e contro la religiosa. Quello che vediamo è veritiero perché è stato scritto, ma senza la disubbidienza di suor Maria e la sfida
della dottoressa alle autorità, non sarebbe successo. Una trasgressione che ha reso possibile la vita, un’apertura alla speranza che qualcosa si possa fare. Bisogna essere sempre più vicini, non più due universi separati, per comprendere alcune scelte e il mondo del convento”. Infatti, il film è una sorta di grido d’aiuto per salvare gli innocenti del titolo originale, donne e bambini, le vittime di ogni conflitto, purtroppo, da secoli. Per vedere quello che spesso non vogliamo o non ci fanno vedere.
Nel cast, capeggiato dalle ottime Agata Buzek (Suor Maria) e Agata Kulesza (Madre Badessa); Vincent Macaigne (dott. Samuel che instaura un rapporto con Mathilde), Joanna Kulig (Irena), Eliza Rycembel (Teresa), Anna Prochniak (Zofia), Katarzyna Dabrowska (Anna), Helena Sujecka (ludwika), Dorota Kuduk (Wanda), Klara Bielawka (Joanna), Mira Maludzinska (Bibiana), e Thomas Coumans (Gaspard), Elso (colonnello Pascal), Leon Natan-Paszek (Wladek), Joanna Fertacz (zia di Zofia).
Il film, in uscita in occasione della Giornata dell’Infanzia (20/11/16), dopo il Sundance Film Festival, è stato presentato anche in quelli di Valladolid (Premio Fipresci), Norwegian FF (Andreas Award), Jerusalem, Provincetown (Best Narrative Feature), Seattle, ed è stato proposto dalla Francia all’Oscar per il miglior film straniero. José de Arcangelo
(4 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 17 novembre distribuito da Good Films in 60 copie

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