mercoledì 7 dicembre 2016

Michele Santoro racconta i nuovi "Robinù" ovvero la storia dei babyboss che a 15 anni imparano a sparare, a 20 sono killer consumati e a 30 spesso non ci arrivano nemmeno

In anteprima al 73° Festival di Venezia, nella nuova sezione Cinema nel Giardino, arriva ora nei cinema il documentario ideato e firmato dal giornalista Michele Santoro (che aveva già girato alcuni per la televisione) – sceneggiato con Maddalena Oliva e Micaela Farrocco – “Robinù”, dove sono i veri protagonisti, Mariano A. e Michele ‘Michelino’ a raccontarsi nel ruolo di loro stessi.
L’idea nasce da Napoli, dove negli ultimi due anni, bande di adolescenti si combattono, a colpi di kalashnikov, in una guerra dimenticata che conta ormai oltre sessanta morti. La chiamano ‘paranza dei bambini’: adolescenti ribelli che sono riusciti a imporre una nuova legge di camorra per il controllo del mercato della droga. Una paranza che da Forcella si insinua nei Decumani, e scende giù fino ai Tribunali e a Porta Capuana: il ventre molle della metropoli partenopea, la periferia nel centro, tra turisti che di giorno riempiono le strade e gente che di notte si rintana nei bassi trasformati in nuove piazze di spaccio, il vero carburante capace di far girare a mille il motore della mattanza. Senza voci fuori campo – né giudizi né pregiudizi -, ma con l’obiettivo direttamente puntato sui protagonisti,
Santoro indaga, in una sorta di confessione senza interferenze, in cui vengono fuori origini, vita e disagio di adolescenti che cercando di sfuggire ad un ambiente senza genitori né modelli (positivi) e/o veri riferimenti, vedono nella criminalità l’unica strada da prendere. Perché non c’è chi li guidi, insegni o aiuti a trovarla o un futuro diverso all’orizzonte. Anzi, spesso chi li arruola, i loro ‘maestri’, sono quelli che ormai hanno fatto ‘carriera’, anche quando non vogliono essere seguiti nella loro strada, perché temono diventino in un futuro immediato imitatori o rivali. Infatti, dicono e soprattutto dicono loro: “Tu queste cose le devi fare ora. Perché così, se vai in galera per vent’anni, esci e hai tutta la vita davanti”. Perché è questa la concezione del mondo di quei soldati bambini che a 15 anni imparano a sparare, a 20 sono killer consumati e a 30 spesso non ci arrivano nemmeno.
Quelli che vediamo sono – dicono gli autori – “i veri volti dei babyboss, dei loro familiari (spesso ne hanno soltanto uno, la madre, o nessuno ndr.) devastati dal dolore, il loro racconto diretto e senza alcuna mediazione descrivono la storia di un intero giovane popolo ridotto a carne da macello. Sotto gli occhi indifferenti delle istituzioni, hanno evaso qualunque obbligo scolastico, non parlano italiano, hanno i denti già devastati dalla droga, ma esprimono chiaramente sentimenti e passioni di una forza sconosciuta a quella parte di Paese definita ‘normale’”.
Infatti a vederli e ascoltarli sembrano dei bravi ragazzi, incoscienti, smarriti o confusi, che come ogni adolescente si sentono immortali, ma che la dura realtà del loro mondo dimostrerà che è vero il contrario. Mariano A., secondo i magistrati, avrebbe fatto parte della paranza di fuoco dei D’Amico, il clan che controlla la periferia orientale di Napoli. L’accusa è quella di aver ucciso insieme a un altro ragazzo Raffaele Canfora, 25 anni, esponente del clan di Vanella Grassi di Secondigliano. Ora sta scontando una pena di 16 anni, nell’Istituto penale minorile di Airola, per omicidio aggravato dalle finalità camorristiche, distruzione e soppressione di cadavere, porto abusivo d’armi.
Michele M. sta scontando una condanna a 24 anni, 16 anni con rito abbreviato per tentato omicidio, lesioni, rapina, detenzione illegale di armi. Secondo l’inchiesta che lo riguarda, ‘Michelino’ avrebbe seguito la ‘carriera’ del babyboss in tutti i suoi passaggi: prima, rapinatore; poi, passa a sparare (contro i poliziotti per ben due volte e la seconda mentre era in permesso premio dal carcere minorile) e, fattosi notare per “le palle e la mano ferma”, riceve la chiamata del Sistema. Inizialmente al servizio di Salvatore Marino e Massimo Castellano, personaggi di spicco del clan Mazzarella, nel rione Forcella. Poi, l’arresto. Da babyboss ‘maturo’ – ha compiuto 22 anni nel carcere di Poggioreale – non riconosce nessuno dei gruppi della paranza dei bambini attualmente in lotta nel suo rione. La fotografia è firmata Raoul Garzia e le musiche originali da Lele Marchitelli. José de Arcangelo (3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 7 dicembre distribuito da Videa
LA STORIA DEI GIOVANISSIMI ROBIN HOOD Il 15 giugno 2016 il Tribunale di Napoli ha condannato oltre 40 imputati – per la maggior parte ragazzi – riconoscendo per la prima volta l’esistenza di un cartello criminale formato dai giovanissimi Sibillo e dagli eredi del vecchio boss Giuliano. C’era una volta Loigino Giuliano, “re” incontrastato del quartiere Forcella dalla metà degli anni ’70. Con lui regnava l’ordine camorristico e, grazie alla droga e al contrabbando, il clan Giuliano incassava miliardi su miliardi ogni anno. I fratelli Giuliano erano così ricchi da aver fatto installare nella loro “residenza reale”, incastonata tra i palazzi lesionati dal sisma, una vasca da bagno a forma di conchiglia, la stessa in cui Diego Armando Maradona andava a divertirsi, tuffandosi tra donne nude e cocaina. Oggi i nipoti di quei Giuliano sono dei giovanissimi Robin Hood, che rifiutano l’autorità di quei capi che prima si arricchiscono e poi si pentono. Quei vicoli in rovina, apparentemente inconsistenti e marginali, continuano ad essere centro di controllo decisivo per il rifornimento di cocaina di una metropoli così estesa, la stessa metropoli che ospita la popolazione più giovane d’Europa che tuttavia è del tutto sottomessa a quei ribelli che a soli 16 anni non conoscono più regole né limiti e sono pronti ad usare senza nessuna remora il kalashnikov. Un anno fa, in via Oronzio Costa, a pochi metri dalla Cattedrale, dalla strada dei presepi, dal Cristo velato e da vicoli meravigliosi, è morto colpito al torace da un proiettile il 19enne Emanuele Sibillo, nuovo “re” del centro storico che, da latitante, sparava da giorni contro il portone dei Buonerba, colpevoli di essersi troppo allargati nel quartiere. Come in tante altre zone, i Sibillo erano soliti chiedere l’estorsione al parcheggio di Porta Capuana, dove da vent’anni lavorava abusivamente Ciro. Salvatore, uno dei quattro figli di Ciro e amico stretto dei Buonerba, decide di fargliela pagare: «Hanno mangiato loro, ora dobbiamo tornare a mangiare noi. I soldi a mio padre non si devono permettere di chiederli». E’ in momenti come questo che vengono decise a tavolino quelle spedizioni punitive, quelle stese con i motorini e persino quegli omicidi che fanno scoppiare la faida della paranza dei bambini che insanguina il centro storico e riempie di ragazzini le carceri di Napoli. È questa la storia di Salvatore che a 24 anni già rischia l’ergastolo e adesso è a Poggioreale, rinchiuso nel padiglione di massima sicurezza. Ed è anche la storia di Michele, suo fratello, detto Michelino, un babyboss che sta scontando una condanna a 16 anni per tentato omicidio e rapina a mano armata che non ha mai voluto sottostare alle regole di nessun clan…

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