lunedì 27 febbraio 2017

Dopo il premio Oscar per il Miglior Film ecco "Moonlight" di Barry Jenkins, tre 'atti' nella vita di un giovane afroamericano a Miami

Ecco il tanto acclamato “Moonlight” di Barry Jenkins, sopravvalutato non solo alla cerimonia degli Oscar (Miglior Film, Miglior Sceneggiatura non originale, Miglior attore non protagonista, Mahershala Alì) e ai Golden Globes (Miglior Film drammatico e attore non protagonista), perché sì affronta un argomento importante, tra razzismo e discriminazione, omosessualità e violenza, pubblico e privato, ma lo fa in modo tradizionale, a tratti convenzionale e/o retorico, e soprattutto si sente l’impostazione teatrale originale.
Infatti, è tratto dal testo di Tarell Alvin McCraney, sceneggiato dal regista e, nonostante le incursioni in esterno, sono più riuscite le scene nell’intimità di casa, supportate dai primi piani, che da sempre fanno la differenza tra palcoscenico e grande schermo. La dura vita del giovane Chiron raccontata in tre periodi diversi della sua vita, che richiamano i tre atti del dramma originale e i tre nomi che vengono assegnati al protagonista: infanzia (il più riuscito
soprattutto grazie al piccolo Alex Hibbert, la vera rivelazione del film, a cui andava comunque un premio), adolescenza (Ashton Sanders) e maturità (Trevante Rhodes). Chiron ha dieci anni e cresce a Miami, in un quartiere colpito dall’abuso di crack e dalla criminalità, affronta una vita domestica difficile (padre assente, madre drogata) e il bullismo dei compagni di scuola. In questo modo rischia di far parte di una statistica, il consueto ragazzo nero dominato e distrutto dal sistema. Ma, nonostante la bassa statura, la sua natura taciturna e il rifiuto della violenza (viene soprannominato spregiativamente ‘Little’ dagli
stessi compagni), il ragazzo riesce a sopravvivere e diventa figlio ‘adottivo’ di Juan (il pluripremiato Mahershala Alì), il ‘buono’ della situazione. Chiron però non è un duro ma neanche un debole, la rabbia accumulata nell’infanzia verrà fuori pian piano. L’adolescente scopre di essere gay e al tempo stesso i pregiudizi e il violento machismo degli altri, si ribella e finisce in prigione. Quando esce è diventato ‘Black’ – soprannome che gli aveva dato il suo unico amico Kevin -, è diventato un altro uomo ma è sempre lui perché ha ritrovato se stesso.
Merito del testo originale e del film – presentato in anteprima nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma - è, comunque, quello di affrontare il tema dell’omosessualità nella comunità afroamericana perché la diversità diventa un ulteriore razzismo all’interno di essa, dove la virilità è spesso sinonimo di machismo e superiorità. Forse è questa la ragione che ha determinato il suo grande successo (oltre 20milioni di dollari di incasso in patria su un budget di 5milioni) e l’ha portato a vincere 183 premi su 245 nomination, oltre gli Oscar.
Nel cast anche Janelle Monàe (Teresa), una delle interpreti de “Il diritto di contare”; Duan Sanderson (Azu), Naomi Harris (Paula), Jaden Piner (Kevin a 9 anni), Edson Jean (Mr. Pierce), Patrick Decile (Terrel), Jharel Jerome (Kevin a 16), Herveline Moncion (Samantha), Larry Anderson (Antwon), Fransley Hyppolite (Pizzo) e André Holland (Kevin adulto). José de Arcangelo
(3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 16 febbraio distribuito da Lucky Red

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