giovedì 2 marzo 2017

La pluripremiata 'commedia' tedesca "Vi presento Toni Erdmann" di Maren Ade, indaga su un folle rapporto padre-figlia dei nostri giorni

Anche quella che è stata considerata “La commedia più premiata e sorprendente dell’anno”, “Vi presento Toni Erdmann” (in originale soltanto “Toni Erdmann”), sceneggiata e diretta dalla tedesca Maren Ade, è stata sconfitta alla Notte degli Oscar perché - forte dei Premi Fipresci della Critica Internazionale, del Lux Film Prize, del Fipresci al Miglior Film Straniero al Palm Springs International Film Festival e di ben 5
Premi EFA - aveva avuto la candidatura e – secondo scommettitori e critica - sembrava essere tra i favoriti. Però la statuetta per il Miglior Film straniero è andata, meritatamente, a “Il cliente” dell’iraniano Asghar Farhadi, dato che oltre ad appartenere ad uno dei paesi di religione musulmana a cui Trump ha negato il visto di immigrazione (il regista ha mandato un messaggio), è un ottimo film e nonostante l’avesse vinta già nel 2012 con “Una separazione”.
“Toni Erdmann”, nonostante abbia qualche momento esilarante, non è una vera commedia, ma in bilico tra un dramma sentimental-malinconico e una commedia, cioè quello che gli americani definiscono di solito ‘dramedy’. Un buon film, quindi, però due ore e quaranta minuti sono veramente troppi persino per un dramma esistenziale. Offre, è vero, alcune cosiddette scenette e gag che, secondo il nostro parere, vengono dilungate eccessivamente annullando quasi l’efficacia della trovata. La comicità e la commedia hanno un
ritmo tutto particolare, non facile da trovare e soprattutto da mantenere persino in un lungometraggio della durata standard di 90’, figuriamoci se bisogna essere brillanti per quasi il doppio del tempo. Però si tratta sempre di un riuscito film d’autrice (ha dichiarato di aver pensato di accorciarlo ma, secondo lei, alcune sequenze avrebbero perso senso), incentrato sul rapporto tra un padre e una figlia che non si vedono né sentono quasi mai e hanno dei caratteri addirittura opposti. La donna in carriera Ines (Sandra Hüller), è tutta affari e tailleur oscuro, nella sua vita non c’è spazio per i sentimenti e i
rapporti (umani) di lunga durata. Almeno fin quando non irrompe Winfried nei panni di Toni Erdmann (uno scatenato Peter Simonischek, illustre attore drammatico austriaco), un eccentrico burlone che ama i travestimenti e le scombina la sua programmata esistenza. E’ suo padre che, dopo la morte del suo vecchio e adorato cane, ha deciso di farle una visita a sorpresa, proprio mentre lei si trova a Bucarest per un importante progetto… Ovviamente, tra bisticci e incomprensione, finzione e realtà, lacrime e sorrisi finiranno per (ri) avvicinarsi.
Winfried, alias Toni Erdmann, ritroverà una figlia e Ines capirà che persino un bizzarro genitore ha il diritto di occupare uno spazio nella sua, solitaria e gelida, vita. Forse proprio per questo il film diventa universale, a maggior ragione in questi nostri tempi, perché le nuove generazioni eludono i sentimenti considerandoli una perdita di tempo (e denaro), mentre sono – nel bene e nel male – il sale della nostra esistenza.
La regista, vincitrice del Premio Speciale della Giuria al Sundance Film Festival e una nomination ai Lola Awards con la sua opera prima “Der Wald vor Lauter Baumen” e il Gran Premio della Giuria e per la Miglior Attrice (Birgit Minichmayr) con “Alle Anderen” (Everyone Else) alla Berlinale 2009, afferma: “Tutti i miei film sono in parte autobiografici, nel senso che lo spunto da cui parto è sempre una realtà che conosco. Quando nel corso della scrittura ho affrontato il tema della famiglia, è stato interessante notare quanto poco sono riuscita a sfuggire alle mie esperienze personali. Le situazioni che conosciamo meglio sono quelle che abbiamo vissuto. Ciascuno di noi ha una sola famiglia e i rapporti tra genitori e figli durano per tutta la vita; è difficile prendere le distanze. E’ quello che succede a Ines in ‘Toni Erdmann’. Pensa che la
famiglia in cui è cresciuta non abbia alcuna rilevanza nella sua vita attuale. Sono tutti intrappolati nei loro ruoli assegnati e le loro interazioni avvengono in base a rigidi modelli quasi ritualistici a cui nessuno di loro può sottrarsi”. E poi aggiunge: “Non credevo di aver infranto un tabù (la commedia tedesca non è conosciuta all’estero ndr.), e quando a Cannes è stata considerata una commedia ero al settimo cielo, la cosa positiva è non avere aspettative, la reazione del pubblico ha sorpreso anche me, visto che il film ha dei momenti molto
malinconici e il padre, disperato, adotta l’umorismo come forma di comunicazione. E attraverso le cose banali della vita quotidiana rivela sentimenti, sensibilità e stati d’animo”. Forse questo ha fatto sì che lo spettatore si identifichi con i personaggi e finisca per ridere di se stesso. Nel film recitano anche Michael Wittenborn (Henneberg), Thomas Loibl (Gerald), Trystan Pütter (Tim), Hadewych Minis (Tatjana), Lucy Russell (Steph), Ingrid Bisu (Anca), Vlad Ivanov (Illiescu) e Victoria Cocias (Flavia). E a Hollywood già si prepara il remake americano con Jack Nicholson.
José de Arcangelo (3 stelle su 5) Nelle sale italiane dal 2 marzo distribuito da Cinema (di Valerio De Paolis)
HANNO DETTO “La migliore commedia tedesc a mai vista” (Hollywood Reporter) “Un leggero, caustico, piccolo miracolo” (The Guardian) “Profondamente commovente, un film che parla della disconnessione umana del nostro tempo” (NPR) “Un esilarante trionfo umano” (Variety) “Una regia di meravigliosa semplicità, una scrittura per nulla dimostrativa…” (Le Monde) “Toni Erdmann sorprende ad ogni scena. L’umorismo tedesco esiste ed è fragoroso” (Le Figaro) Il Miglior Film 2016 per Cahiers du Cinéma – Sight & Sound’s – Rolling Stone

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